L’uomo
esiste come uomo, esiste in quanto uomo, perché abita (…)
(…)“abitare
vuol dire coltivare e custodire il campo”
(Silvano Petrosino - Heidegger)
(Silvano Petrosino - Heidegger)
mercoledì 6 maggio 2015
ABITO QUINDI SONO.
Incontro con Silvano Petrosino
di Sara De Carli
Dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva,
diceva Hölderlin. Lo citava Heidegger, come sorprendente chiusa di un saggio
sulla tecnica, e si sa che Heidegger una volta che ti ha colpito non ti lascia
più andare. E così, accettando di stare dentro questa catena, Silvano Petrosino
raccoglie la sfida intellettuale del rischio. Se in Babele (Il
Melangolo, Genova 2003) affrontava il delirio del senso dell’abitare umano,
simboleggiato dalla celebre torre, in Capovolgimenti (Jaca Book, Milano
2008), porta all’estremo il nesso ontologico fra l’uomo e il luogo che abita:
l’uomo non può che abitare, esiste abitando, cioè prendendosi cura dello spazio
che lo circonda, uno spazio che curva lungo due direttrici, il coltivare e il
custodire. Se si ragiona così, partendo dall’uomo e dalla sua natura, la casa
dell’uomo non potrà mai essere una tana. Così come come l’economia, cioè la
giusta legge della casa e di chi la abita, non potrà mai coincidere con il
business. Eppure tutti vediamo quotidianamente il contrario.
Sono i capovolgimenti – quello della sicurezza
perfetta, dell’ospitalità assoluta e del profitto infinito – che stravolgono
ciò che dovrebbe essere ma che hanno, come ogni perversione, i loro sottili
vantaggi. Per Petrosino non possiamo eliminare il rischio di cascarci dentro,
se volete è una condanna, ma abbiamo sempre la possibilità di cogliere lo
scarto e di tornare a interrogarci (sempre) sulla giusta misura del nostro
stare nel mondo.
Lei stabilisce una connessione
ontologica fra la persona umana e il luogo che essa abita. Solitamente si
ragiona o sulla persona o sull’abitare, senza intuire che tra le due c’è una
connessione così profonda. Ce la spiega?
Il punto di partenza è Heidegger, che distingue fra
spazio e luogo. Il luogo è altro dallo spazio, è lo spazio che si curva attorno
a un individuo determinato, un esistente, per cui se tu vuoi capire un luogo
devi capire innanzitutto l’essere che lo determina. Cosa facile da dire ma
complicata quando il vivente in questione è l’essere umano: nel caso del
vivente la legge è molto semplice, è quella della sopravvivenza, del territorio
di caccia – la ricerca del godimento, la riproduzione della vita,
l’affermazione del più forte – ma nel caso dell’uomo questi elementi (che ci
sono) non sono sufficienti.
Qual è il modo proprio in cui l’uomo
“curva” lo spazio che lo circonda?
La formula potrebbe essere questa: Heidegger dice che
l’uomo esiste in quanto abita, ed è molto bello, perché dice che il modo di
esistere dell’uomo si determina nell’abitare, nel dare forma allo spazio. Io
faccio questa aggiunta: l’uomo abita in quanto è abitato.
Abitato da che cosa?
Dall’alterità. Io credo sia sbagliato introdurre il
tema dell’alterità immediatamente in rapporto a Dio: quella è una dimensione,
ma non l’unica. L’alterità va sempre letta invece nelle sue tre dimensioni,
sempre intrecciate: l’alterità nei confronti dell’altro, che si declina poi nel
tema dell’ospitalità e del reale; l’alterità nei confronti
dell’Altro/dell’alto; l’alterità nei confronti della propria interiorità,
poiché c’è sempre qualcosa di estraneo anche nel proprio io.
Per questo la casa dell’uomo non può
mai ridursi a una tana?
Certo, la tana per l’uomo non funziona perché è la
speranza illusoria di assorbire totalmente l’alterità, di metterla a tacere. Ma
questo è impossibile. È ovvio che l’uomo determina lo spazio costruendosi
attorno un ambiente-mondo ordinato, “a portata di mano”: nel mondo c’è l’idea
di cosmo, di agenda, spazio ordinato. In questo senso il mondo è per eccellenza
lo spazio che si costruisce e si declina attorno a noi, sotto il nostro tocco.
Soltanto che inevitabilmente, poiché l’uomo stesso è abitato dall’interiorità,
il mondo a un certo punto esplode. Ed esplode sul reale, che è cosa diversa
dalla realtà, perché il reale è anche la mia interiorità, non solo ciò che mi
esterno ed estrinseco. Lacan lo spiega con una di quelle definizioni che solo i
geni sanno dare: «Il mondo è ciò che va, il reale è ciò che non va». Ovvero il
reale è il riconoscimento che il soggetto non è mai il proprietario della
propria esperienza, che l’esperienza è sempre la tua esperienza soggettiva ma
non è mai una tua proprietà.
La sociologia contemporanea parla di
non-luoghi. Agganciandoci alla sua riflessione, possiamo dire che quelli sono
non-luoghi perché lì l’uomo non crea il suo mondo, si tratta di spazi
indifferenti all’individuo che li abitano?
Io capisco che i sociologi parlino di non-luoghi per
indicare i luoghi di passaggio, impersonali, però come filosofo devo dire che
il non-luogo non esiste. Perché anche quello che è definito come non-luogo in
realtà è sempre un luogo abitato da un uomo. Cito un film, Irina Palm: c’è una nonna che per mettere
insieme i soldi per curare il nipote fa un lavoro squallido, masturba gli
uomini. Lei è in una stanza terribile, in un non-luogo, però dopo pochi giorni
porta un quadro con la foto del nipote e un mazzo di fiori. Cosa sta facendo
Irina Palm? Inizia ad abitare. Anche nelle stazioni ogni pendolare ha il suo
posto, prende il treno sempre dallo stesso punto della banchina, e pure nel
massimo dell’informalità come un campo rom ciascuno crea un suo spazio. Ci sono
testimonianze terribili e meravigliose in questo senso nei campi di
concentramento nazisti: si racconta di una mamma che a un certo punto sbotta e
rimprovera il figlio, «Smettila, non si mangia con le mani!». Ed il piatto era
quasi del tutto vuoto! Per me questo è l’umano. Certo, ci sono circostanze che
facilitano e circostanze che si oppongono all’abitare.
Però se l’abitare è un modo dell’io
di plasmare il mondo, è anche vero che il modello di stare nello spazio che ci
è proposto o imposto a livello sociale non è quello dell’abitare inteso come
mettere una persona al centro dello spazio. Cosa ci dice allora dell’umano il
fatto che le città che lui stesso crea sono ormai città che producono
sofferenza?
Innanzitutto dobbiamo dire che anche le nostre città,
che ci sembrano spesso così alienate e alienanti, sono in realtà dei luoghi e
non dei non-luoghi. Certo però bisogna capire qual è la preoccupazione
prima di questi luoghi: voglio citare la Genesi, per spiegarmi. La Genesi dice
che Dio fa il giardino e vi pone dentro l’uomo perché lo coltivi e lo
custodisca. Due cose insieme, coltivare e custodire. Cosa fa invece la società
di oggi? A me sembra che la nostra è una società che spinge al coltivare e
dimentica il custodire. Queste città che generano sofferenza sono dei luoghi,
non è la giungla, ma sono probabilmente luoghi mossi da una sola
preoccupazione, il consumismo, che curva lo spazio e lo organizza secondo le
sue esigenze. L’ideale della vita invece sarebbe il coltivare che custodisce.
Torniamo alla casa e ai suoi tre
capovolgimenti: la tana, la casa sempre aperta e il business.
Il tema di partenza è che la casa è ciò che si chiude
per riparare: dalle intemperie, dagli estranei, dai nemici. E si chiude intorno
a un’apertura, per cui una casa non può mai essere totalmente chiusa; però non
può essere nemmeno totalmente aperta. Io ho fatto questa lezione al
Politecnico, alla fine è venuta una ragazza e mi ha detto: «Professore, è molto
bello quello che ha detto, però i miei genitori facevano ospitalità continua,
io tornavo a casa e non sapevo chi aspettarmi, a volte andavo in camera mia e
mi trovavo un’estranea con cui dovevo condividere la stanza. Per me è stato
impossibile, non si può vivere così». È giusto, ha ragione lei. Bisogna
imparare la differenza fra l’ospitalità assoluta e l’ospitalità piena. L’uomo
non può vivere sempre nell’aperto, ha bisogno di un luogo in cui trovare la
propria intimità, raccogliersi, stare nudo con sé e con l’altro. Le stanze sono
questo, una casa nella casa. Quello di una casa totalmente aperta è un rischio,
una tentazione, anche se forse meno immediato da cogliere di quello della casa
blindata o cablata, della tana che si trasforma in una trappola. Kafka nel suo
racconto è stato un genio, perché il sibilo che l’animale sente e da cui vuole
ripararsi, lo continua a sentire anche dentro la tana: torniamo ancora al tema
dell’alterità. Tu puoi blindare tutto, ma anche allora resta il fatto che tu
sei abitato da un’alterità. Però anche una casa tutta aperta non è un luogo
dell’umano: l’ospitalità autentica, la giusta misura, è quella dell’ospitalità
piena ovvero di un’ospitalità rivolta alla totalità di una persona, che deve
salvaguardarne anche l’intimità.
Questo che indicazioni ci dà sul
tema sociale dell’accoglienza?
Rispondo filosoficamente, ma poi nella vita so che è
diverso. Filosoficamente dico che c’è il rischio di una perversione
dell’ospitalità, perché l’ospitalità vera è l’ospitalità alla totalità della
mia persona. L’ospitalità assoluta invece, che è una perversione, è paga di
ospitare, è indifferente a chi sta ospitando, chiunque va bene. Invece
l’ospitalità piena è un’ospitalità a me, al mio io particolare e individuale.
Filosoficamente quindi ci può essere un pericolo per le strutture che fanno
accoglienza e ospitalità, detto bene da Derrida: «Si può donare con generosità,
non per generosità». Nel primo caso sei in gioco tu, nel secondo è una
procedura. Poi è chiaro che realisticamente dobbiamo dire “per fortuna c’è
anche qualcuno che fa accoglienza anche solo per procedura!”. Nella realtà
bisogna stare attenti a non separare le cose, perché l’ospitalità a te è
certamente anche l’ospitalità ai tuoi bisogni, ma non solo quello.
Nelle letture che analizza nella
seconda parte di Capovolgimenti fa una riflessione sul fatto che,
nella Genesi, la domanda di Dio all’uomo è sempre «Dove sei?». Perché mettere
in primo piano il luogo?
Perché l’alternativa sarebbe la domanda «Chi sei?».
Quella però è una domanda troppo grande, vertiginosa, chi sa rispondervi? Alla
domanda «Dove sei?» invece possiamo sempre rispondere, perché ci chiede quale
posizione stiamo assumendo rispetto alla vita e alle cose, ci chiede «Dov’è il
tuo cuore?». Noi non sappiamo chi siamo ma sappiamo sempre che posizione
abbiamo, e alla fine si tratta sempre solo di due grandi possibilità: o che la
vita sia un’illusione o che la vita sia una promessa. Adamo risponde giusto:
sono nella paura. Il luogo da cui guardo il mondo adesso è la paura.
Una bella metafora dell’oggi…
La questione è questa. Un’amica una volta mi ha
chiesto: «Scusa, ma cosa avrebbe dovuto rispondere Eva al serpente, quando le
ha promesso che sarebbe diventata come Dio?». Ci ho pensato, e secondo me Eva
avrebbe dovuto rispondere che lei non voleva diventare “come”Dio, perché era
già “con” Dio. Io sono un uomo, sono limitato, ma sono in alleanza con Dio. Nel
momento però in cui il serpente riesce a togliermi dalla relazione e
dall’alleanza con Dio – ma non solo, anche con l’amato, il fratello, l’amico –
il mio limite mi diventa insopportabile. La paura nasce da quello,
dall’insostenibilità del limite, che è un grandissimo tema dell’oggi: questa è
un’epoca in cui le possibilità sembrano illimitate e accessibili a tutti, e il
rendersi conto di essere limitati è percepito come qualcosa di ingiusto e
intollerabile. Il limite invece non è un’obiezione, ma una condizione normale.
Ma dentro una relazione. Il fatto è che fuori dalla relazione con l’altro
diventa un’obiezione a me stesso e alle mie possibilità e anche una tentazione:
la tentazione a rompere la relazione, a isolarsi.
Partendo dalla casa lei rilegge
anche l’economia, che etimologicamente è oikos nomos, la legge della casa: un
concetto diverso dal business, che invece è una cosa irrelata.
L’economia è trovare la giusta misura all’interno
della casa, ovvero quella che rispetta chi abita nella casa. Se lavori otto ore
al giorno per mille euro e ti propongono di lavorare 16 ore per 3mila euro,
questa dal punto di vista del business è una scelta che conviene, ma dal punto
di vista dell’economia è distruttiva. In questo senso il business diventa
distruttivo della famiglia. Qual è la conseguenza politica? Che lo Stato deve
aiutare l’economia e l’imprenditore, non il business. Incentivare il part
time e le iniziative di conciliazione fra vita e lavoro per esempio è una
scelta nell’ottica dell’economia, non del business.
C’è una frase molto forte, nel
libro. «Ogni uomo è posto dinanzi all’urgenza di individuare qual è il modo
migliore di abitare». Qual è a suo parere il modo migliore di abitare?
Non lo so e non si deve sapere, però so che l’uomo non
può non sentire l’urgenza di cercare la giusta misura, poiché non esiste una
zona moralmente neutra. In più quello della giusta misura non è un compito
riservato ad alcuni uomini, bensì un compito per tutti gli uomini, perché è
questo che definisce l’uomo. Quindi per prima cosa è importante convincere i
ragazzi che non esiste il moralmente neutro. Poi il giusto dipende dalle
circostanze, come quando le suore di madre Teresa a Calcutta dicono che la loro
priorità è insegnare l’uso dei contraccettivi e non vivono come scandalo il
fatto che la Chiesa dica altro. Il tema di un abitare che rispetti l’ambiente
per noi è imprescindibile. Ma il rischio pazzesco è che per la prima volta si
profila la possibilità di generare senza sessualità. Qual è la giusta misura?
Ecco, adesso rispondo: per noi è custodire la vita nel rapporto carnale fra
l’uomo e la donna, senza bypassarlo.
sabato 28 marzo 2015
CO-HOUSING SOCIALE:
UNA COMUNITA' CHE CURA
Da circa un
anno e mezzo a Milano c’e un nuovo complesso abitativo, composto da più di 120
unità: si chiama Cenni di Cambiamento, in zona via Novara. Poco più ad ovest,
continuando sulla via Novara, si incontra Figino, un quartiere di Milano che
mantiene ancora caratteristiche da piccolo paesino. Lì, tra pochi mesi, verrà
inaugurato un nuovo intervento di housing sociale, sulla falsa riga del
modello Cenni, denominato Borgo Sostenibile e composto da più di 300 alloggi.
Questi due
importanti progetti di Social Housing sono il frutto dell’incontro tra soggetti
pubblici e privati: Comune di Milano, Fondo Immobiliare di Lombardia, FHS,
Fondazione Cariplo, Dar=Casa/Cooperativa Degradi, che ha generato un sistema di
“mixed development” dove l’incontro tra la varietà di bisogni legati
allo spazio abitativo ha fatto da motore in grado di produrre opportunità.
Analizzando
l’esperienza di “Cenni”, notiamo che il sistema è stato facilitato da azioni ed
interventi specifici, che hanno avuto la funzione di creare le condizioni
perché nascessero relazioni che, partendo dai presupposti dell’housing
sociale, si estendesse fino a diventare tipiche del co-housing:
l’esistenza di spazi comuni, i percorsi di conoscenza tra gli abitanti prima
della consegna degli alloggi, la presenza di organizzazioni no profit, un mix
di contratti di affitto e patti di futura vendita, la diversa composizione dei
nuclei familiari.
In questo
articolato e creativo contesto abitativo – relazionale si è avviato, a ottobre
2014, il progetto di Arimo, legato al servizio di appartamenti educativi
“Chiavi di Casa”, dedicato ai neo maggiorenni seguiti dai servizi sociali.
Questa tipologia di dispositivo educativo ha la caratteristica di essere uno
luogo di mezzo tra la comunità di accoglienza, caratterizzate da un tasso di
protezione, controllo e presenza educativa molto elevato, e il mondo della
realtà, privo ovviamente di tutele, monitoraggi e sostegni adulti. Il contesto
di co-housing rappresenta “magicamente” quel luogo capace di tenere in
equilibrio artificialità e autenticità. L’artificialità tipica e fondamentale
di ogni intervento educativo, con l’autenticità necessaria perché ogni
intervento educativo diventi efficace e replicabile. La presenza di condomini
spontaneamente portati all’incontro con l’altro, e connessi con Arimo attraverso
un lavoro di “regia” relazionale svolto dagli operatori, facilita in modo quasi
invisibile il contatto con gli ospiti, lasciato sempre però alla singola
iniziativa.
Questo
sistema complesso e articolato, ma al tempo stesso estremamente naturale e
immediato, genera opportunità e circostanze di incontro e aiuto reciproco, che
mai potrebbero verificarsi in un qualsiasi condominio, soprattutto pensando a
giovani ragazzi, poco inclini alla fiducia verso gli estranei e caratterizzati
da cautela nell’avvicinarsi all’altro.
Andare in
corte la sera a giocare a ping-pong; chiedere una pentola o del riso al vicino
di pianerottolo; cercare via Facebook un aerosol in prestito e trovarlo da
Carmen, senza neanche sapere chi è; fare i compiti con Riccardo o andare a cena
da Marta, Luca e le loro figlie; fare volontariato al piano di sotto dove
vivono persone con difficoltà motorie, sono solo alcune delle possibilità a
portata di mano degli ospiti di Arimo (e di tutti gli abitanti di Cenni). E
sono occasioni preziose, uniche, irrinunciabili per occuparsi in modo
silenzioso e nascosto delle ferite provocate da un passato di incontri con una
realtà violenta, maltrattante, invadente.
Una cura che
passa da uno sguardo semplice, bendisposto, inclusivo, che ha l’impagabile
valore di non essere viziato da un sapere professionale, ma di rappresentare lo
sguardo di un mondo possibile, esistente, reale. Non frutto di un curriculum di
chi “sa come si fa”, ma di competenze naturali di chi “sa essere”. Facilitata
dall’appartenenza ad un territorio comune e da un vicinato che combatte
solitudine e anonimato, quest’esperienza di incontro con l’altro, se diventa
apprendimento, si trasforma in competenza trasferibile ad ogni “altro” ovunque
lo si trovi nel mondo. Un mondo che non produce più il danno ma la cura.
Naturalmente, spontaneamente, senza titolo professionale.
In un
contesto di abitare così pensato, e già sperimentato a Cenni di Cambiamento,
Arimo ha deciso di rilanciare la sua sfida di apertura al territorio con un
nuovo progetto di residenze educative. Questa volta non solo dedicato ai neo
maggiorenni ma anche ai suoi ospiti minorenni, così da anticipare quei
movimenti di contatto con un contesto collaborativo, capace di ristrutturare
esperienze distruttive e deteriorate. Con il progetto Borgo Sostenibile parte
una nuova avventura dove il professionista della cura cede spazi di intervento
a favore del cittadino consapevole, non abbandonando la scena educativa ma
arricchendola di nuovi attori e immaginando azioni di invisibile regia che “apparecchino
le circostanze” per nuove prospettive di crescita nel mondo.
Testi di
giovedì 26 marzo 2015
ECOVILLAGGI CHE PASSIONE, SUCCESSO PER LA RETE ITALIANA
L'associazione Rive, che riunisce le
esperienze di abitare sostenibile ed ecologico, in meno di vent'anni ha
quintuplicato il numero dei villaggi aderenti. E sostiene anche esperienze di
co-housing sociale. Ecco la mappa italiana
Una nuova presidente e una più massiccia presenza sui
social network: così si espande in Italia la rete degli eco villaggi, luoghi
dove sempre più persone scelgono di vivere per seguire i principi della sostenibilità,
del consumo responsabile e soprattutto della condivisione. Sono decine le
realtà di questo tipo attive in Italia (nella mappa di Google ne vengono
censiti 89), e e circa un quarto di loro aderisce all’Associazione
RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) - un coordinamento
di comunità, ecovillaggi e singole persone interessate ad esperienze di vita
comunitaria – che raccoglie esperienze molto diverse tra loro e che dopo molti
anni di presidenza di Mimmo Tringale, direttore della rivista AMM
Terra Nuova, è ora guidata da Francesca Guidotti.
Un sodalizio che ha visto una crescita notevole dal
1996, quando sorse grazie all’impegno di sole quattro realtà di eco villaggio
(Torre Superiore, Comune di Bagnaia, Damanhur e Popolo degli Elfi) mentre oggi
annovera 23 esperienze, soprattutto nel Centro Nord; scelte molto differenti
tra loro, alcune con un taglio politico molto marcato, altre che si basano su
una profonda spiritualità, ma unite dalla volontà di condivisione di una
scelta mirata ad andare oltre il “vivere” tradizionalmente inteso. Ma guai
a pensare che questi luoghi siano riservati a nostalgici fricchettoni o, nella
migliore delle ipotesi, a ingenui sognatori. «Non ci si può
approcciare al tema dell’ecovillaggio in maniera semplicistica»,
chiarisce Francesca Guidotti, presidente della Rive. «Trovare quello
adatto a se stessi è come trovare un “luogo dell’anima”, bisogna prima di tutto
visitarlo e poi viverlo il tempo necessario per capire qual è lo stile di vita
e se si conforma alla nostra personalità».
E chi non se la sente di mollare tutto e abitare in
case di legno senza elettricità, troverà anche altre soluzioni meno drastiche: RIVE
supporta infatti anche altre forme di abitare sostenibile, come
l’Associazione culturale Senape che sta lavorando alla proposta di un progetto di recupero e
ristrutturazione delle ex caserme del comune di Imperia per uso
pubblico e sociale, o le varie esperienze di cohousing sociale, una forma particolare di
vicinato dove viene preservata la privacy degli spazi abitativi ma vengono
condivisi molti spazi relativi ai servizi comuni.
È una scelta – si legge nel sito ItaliaCheCambia - che
permette di superare «l’isolamento tipico dei condomini rispondendo ad una
serie di questioni pratiche del vivere con una sorta di “welfare”
personalizzato, ma è una struttura molto diversa rispetto a quella degli eco
villaggi». La prima esperienza di cohousing è sorta nel 1972 in Danimarca,
negli anni successivi si è propagata nei vicini stati scandinavi e negli anni
’80 gli enti pubblici hanno riconosciuto questa esperienza a livello ufficiale.
Oggi si contano migliaia di esperienze in tutto il mondo e anche in Italia
sono registrate nella rete otto realtà, di cui due in grandi città come Torino
e Milano.
Nella foto: alcuni abitanti dell'Ecovillaggio Torri
Superiore, presso Ventimiglia
sabato 21 marzo 2015
GENERAZIONE MILLE EURO - FUTURO IN CASA PROPRIA O PARCHEGGIO PER ANZIANI!?
Oggi giovani precari, domani anziani poveri: il 65%
andrà in pensione con meno di mille euro
La
«generazione mille euro» avrà ancora meno a fine carriera. Con pensioni molto
basse, in caso di non autosufficienza chi pagherà le badanti per tutti? Il
futuro grigio dei giovani in un Paese che invecchia
Padova, 13
febbraio 2015 - La «generazione mille euro» avrà ancora meno a fine
carriera. Oggi il 40% dei lavoratori dipendenti di 25-34 anni ha una
retribuzione netta media mensile fino a mille euro. E in molti si troveranno ad
avere dalla pensione un reddito più basso di quello che avevano a inizio
carriera. L'invecchiamento della popolazione e le riforme pensionistiche
rendono più complesso il quadro delle variabili che incidono sulla longevità,
per cui il Censis e la Fondazione Generali hanno avviato un percorso di ricerca
sul welfare di domani. Il Censis stima che il 65% dei giovani occupati
dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro, pur con
avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li
hanno preceduti, considerando l'abbassamento dei tassi di sostituzione. E la
previsione riguarda i più «fortunati», cioè i 3,4 milioni di giovani oggi ben
inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard. Poi ci sono 890.000
giovani 25-34enni autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3
milioni di Neet, che non studiano né lavorano. Se continua così, i giovani
precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani. È quanto emerge
dalla ricerca realizzata dal Censis in collaborazione con Fondazione Generali.
Il regime
contributivo puro cozza con la reale condizione dei millennials. Il 53% dei millennials (i giovani
di 18-34 anni) pensa che la loro pensione arriverà al massimo al 50% del
reddito da lavoro. La loro pensione dipenderà dalla capacità che avranno di
versare contributi presto e con continuità. Ma il 61% dei millennials ha avuto
finora una contribuzione pensionistica intermittente, perché sono rimasti
spesso senza lavoro o perché hanno lavorato in nero. Per avere pensioni
migliori, l'unica soluzione è lavorare fino ad età avanzata, allo sfinimento.
Ma il mercato del lavoro lo consentirà? Intanto l'occupazione dei giovani è
crollata. Siamo passati dal 69,8% di giovani di 25-34 anni occupati nel 2004,
pari a 6 milioni, al 59,1% nel 2014 (primi tre trimestri), pari a 4,2 milioni.
In dieci anni, ci sono stati 1,8 milioni di occupati in meno tra i giovani, con
un crollo di 10,7 punti percentuali. Una perdita di occupazione giovanile che,
tradotta in costo sociale, è stata pari a 120 miliardi di euro, cioè un valore
pari al Pil di tre Paesi europei come Lussemburgo, Croazia e Lituania mesi
insieme.
A far paura
non è l'invecchiamento, ma il rischio di perdere l'autonomia. Solo il 35% degli italiani ha paura
di invecchiare: il 15% combatte gli effetti dell'invecchiamento e il 20% si
rassegna. Il 65% invece non teme l'invecchiamento: perché lo considera un fatto
naturale (53%) o perché pensa che invecchiando si migliora (12%). A far paura è
la perdita di autonomia. Pensando alla propria vecchiaia, il 43% degli italiani
giovani e adulti teme l'insorgere di malattie, il 41% la non autosufficienza. E
il 54% degli anziani fa coincedere la soglia di accesso alla vecchiaia proprio
con la perdita dell'autosufficienza, il 29% con la morte del coniuge e il 24%
con il pensionamento. La fragilità legata all'invecchiamento terrorizza i
giovani. Pensando a quando saranno anziani e bisognosi di cure, il 32% di
giovani e adulti si preoccupa perché non sa bene che cosa accadrà, il 22% è
incerto e disorientato, e solo il 16% si sente tranquillo, perché si sta
preparando a quel momento con risparmi e polizze assicurative, o semplicemente
conta sul supporto della propria famiglia.
Badanti ok
oggi, ma domani? In casa
propria, accuditi dai familiari o da una badante: è questo oggi il modello di
assistenza agli anziani non autosufficienti. Le badanti sono più di 700.000 (di
cui 361.500 regolarmente registrate presso l'Inps con almeno un contributo
versato nell'anno) e costano 9 miliardi di euro all'anno alle famiglie. Finora
il modello ha funzionato, per il futuro però potrebbe non essere più un
servizio low cost. Sono 120.000 le persone non autosufficienti che hanno dovuto
rinunciare alla badante per ragioni economiche. Il 78% degli italiani pensa che
sta crescendo la pressione delle badanti per avere stipendi più alti e maggiori
tutele, con un conseguente rialzo dei costi a carico delle famiglie. Per tanti
l'impegno economico diventa insostenibile: 333.000 famiglie hanno utilizzato
tutti i risparmi per pagare l'assistenza a un anziano non autosufficiente,
190.000 famiglie hanno dovuto vendere l'abitazione (spesso la nuda proprietà)
per trovare le risorse necessarie, 152.000 famiglie si sono indebitate per pagare
l'assistenza. E sono oltre 909.000 le reti familiari che si «autotassano» per
pagare l'assistenza del familiare non autosufficiente. E anche quando si
ricorre alla badante, l'85% degli italiani sottolinea che è comunque necessario
un massiccio impegno dei familiari per coprire giorni di riposo, festivi,
ferie, ecc.
Quando la
casa diventa una trappola per gli anziani. Sono 2,5 milioni gli anziani che vivono in abitazioni
non adeguate alle loro condizioni di ridotta mobilità e che avrebbero bisogno
di interventi per essere trasformate. E sono 1,1 milioni quelli che vivono in
case inadeguate ma non adattabili alle esigenze di una persona anziana con
problemi di mobilità. In questi casi rimanere in casa può diventare un
boomerang.
Le residenze
per anziani? Purché non siano parcheggi per vecchi. Oggi le residenze per anziani (case
di riposo e simili) non piacciono agli italiani. Sono ospiti di strutture
residenziali 200.000 anziani non autosufficienti, mentre 2,5 milioni vivono in
famiglia, in casa propria o di parenti. Le residenze per anziani oggi non hanno
appeal perché sono solo parcheggi per vecchi che provocano malinconia. Ma 4,7
milioni di anziani sarebbero favorevoli ad andare in residenze se la loro
qualità migliorasse. Il 55% di loro pensa che una buona residenza per anziani
deve garantire l'accesso rapido alle cure sanitarie e infermieristiche in caso
di bisogno, per il 36% deve mostrare una sensibilità speciale per il lato umano
degli ospiti, per il 27% deve favorire l'apertura verso l'esterno con attività
alle quali possono accedere anche persone da fuori, per il 23% deve disporre di
spazi comuni in cui realizzare attività ricreative che incoraggino le relazioni
tra gli ospiti. In Italia esistono esempi virtuosi di residenzialità per
longevi, tra cui il Civitas Vitae della Fondazione Opera Immacolata Concezione
di Padova, prima infrastruttura di coesione sociale in Italia fatta di
strutture e servizi intergenerazionali, piena apertura al territorio con
accesso ai suoi servizi per tutti i cittadini, impegno di longevi attivi,
intenso uso di nuove tecnologie Ict.
Questi sono i principali
risultati della ricerca «L'eccellenza sostenibile nel nuovo welfare. Modelli di
risposta top standard ai bisogni delle persone non autosufficienti», realizzata
dal Censis in collaborazione con Fondazione Generali, che è stata presentata
oggi a Padova da Francesco Maietta, Responsabile del settore Politiche sociali
del Censis, e discussa da mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste,
Angelo Ferro, Presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione, Marco
Imperiale, Direttore Generale della Fondazione con il Sud, Mario Strola,
Segretario Generale della Fondazione Ferrero, Luca De Dominicis, Head Savings
and Pensions Global Life di Assicurazioni Generali, e Giuseppe De Rita,
Presidente del Censis.
COMUNICATI STAMPA
SENIOR COHOUSING IN TRENTINO: L'ESPERIENZA DI CASA ALLA VELA
L'abitare
collaborativo della Cooperativa sociale SAD di Trento: una strada per
sviluppare welfare, turismo e opportunità di mercato
La Casa alla Vela
In Trentino
è nato recentemente un esperimento di cohousing del tutto particolare. Per
iniziativa della cooperativa sociale SAD di Trento è stata sviluppata una
soluzione di “abitare collaborativo” che coniuga insieme il modello del senior
cohousing con una modalità legata alla soddisfazione delle esigenze delle
giovani generazioni: una nuova formula di “cohousing intergenerazionale”. È
la “Casa alla Vela” che ospita, in un edificio di tre piani recentemente
ristrutturato, cinque anziani ultra-ottantenni autonomi anche parzialmente,
insieme a sette studenti tra i venti e trent’anni.
L’offerta
abitativa riservata agli anziani contempla un loro proprio spazio privato
—dotazione che è fortemente compromessa nella generalità delle case di riposo
ma che qui, invece, è una prerogativa fondamentale, tipica del cohousing —
insieme al beneficio di alcuni spazi condivisi per le attività comuni, in modo
che vengano mantenuti l’individualità della residenza e il rispetto dei tempi
di vita di ciascuno.
Di grande
vantaggio per l’anziano è lo svolgimento delle incombenze quotidiane
come l’approvvigionamento dei viveri, la preparazione dei pasti, l’igiene
personale, il lavaggio e stiratura degli indumenti, fino alla pulizia degli
ambienti comuni, assolte con il supporto di assistenti familiari.
Supporto che può estendersi anche alle incombenze di carattere periodico come
la gestione amministrativa, le pratiche burocratiche e le piccole manutenzioni.
Il menu
quotidiano dei pasti e la preparazione delle pietanze sono oggetto di scelta
comune e di partecipazione esecutiva, così come sono condivise la pratica del
giardinaggio e la cura dell’orto. Le attività ricreative e gli hobbies, da
condividere nel rispetto dell’indole e dell’attitudine di ciascuno degli
ospiti, sono predisposti sia da educatori professionali sia da volontari — come
gli studenti che, come vedremo meglio poi, abitano l’altro piano del cohousing.
Tutte le iniziative sia quotidiane che di varia periodicità puntano alla
motivazione dell’anziano, per porlo effettivamente in una condizione di
longevità attiva.
Le peculiarità del progetto
Il modello
abitativo del cohousing, che la Casa alla Vela sta sperimentando, è
rappresentato da alcune dotazioni infrastrutturali e da peculiari modalità
organizzative e gestionali:
- gli spazi comuni, funzionali alla socializzazione, alla conoscenza interpersonale e al supporto reciproco: la zona living (soggiorno e cucina), il giardino d’inverno interno, l’orto e la grande sa-la sottotetto, destinata ad attività formative e ricreative di entrambe le generazioni ospitate;
- i servizi a valore aggiunto, come le attività di mutuo aiuto e di messa a disposizione delle com-petenze di ciascuna fascia di età in una logica di reciprocità;
- la condivisione di beni e servizi secondo le logiche della “sharing economy”, in grado di gene-rare benefici economici grazie alla riduzione degli sprechi materiali, al risparmio di energia (gas, elettricità) e al ricorso ad economie di scala — ad esempio, un’unica persona, alternandosi, prepara il cibo per tutti o talvolta ognuno prepara qualcosa e viene allestito un pasto partecipato. A ciò si aggiunge, nella stessa logica, la già citata gestione condivisa degli adempimenti operativi e amministrativi tra i residenti, compiuta con il supporto di professionisti, secondo le necessità;
- la divisione delle responsabilità tra i cohousers secondo un’organizzazione non gerarchica, con il coordinamento di un tutor attento alla partecipazione;
- la sicurezza conseguente alla garanzia di un ambiente protetto, in contrasto con le paure e le ansietà associate all’isolamento.
Altri
elementi in questo progetto creano valore aggiunto per gli anziani, anche se
non sono strettamente riconducibili alle proprietà del cohousing:
- l’“ambient assisted living”, attuato con istallazioni di apparecchiature per la rilevazione ambientale (controllo delle fughe di gas, dei rischi d’incendio, della qualità dell’aria, dell’intrusione di estranei, ecc.) e con altre attrezzature per la cura e il monitoraggio della persona (servizi di fall detection, soccorso in emergenza con telesoccorso anche in mobilità, servizi di videochiamata con parenti e amici, e di life-style coaching); il tutto messo a disposizione in via sperimentale grazie al progetto “Suitcase”, sviluppato da una cordata di portatori di competenze tecnologiche, ripartiti tra attori pubblici e privati in Trentino;
- l’assenza di barriere architettoniche insieme alla sicurezza e all’ergonomia di elettrodomestici e utensili in dotazione;
- la particolare attenzione, posta nella fase di ristrutturazione, verso la sostenibilità ambientale e l’efficienza energetica dell’edificio (materiali isolanti, doppi vetri, ecc.), che comportano una riduzione dei canoni delle utenze a carico dei cohousers;
- la presa in carico degli anziani distribuita tra vari soggetti sia a titolo gratuito che a pagamento — in un mix di economia di dono e di economia di mercato — in modo che il supporto fornito favorisca l’autonomia secondo le logiche dell’empowerment. Grazie alla collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato (un ente presente a livello provinciale), ruotano attorno all’anziano operatori del sociale, assistenti familiari sempre presenti nell’abitazione, assistenti a domicilio e operatori sanitari attivabili all’occorrenza, operatori abilitati al trasporto e all’accompagnamento individuale o di gruppo e pure gli studenti e i volontari disponibili ad animare i momenti culturali e ricreativi.
I benefici su invecchiamento attivo e servizi alla persona
Questo
combinato disposto di caratteristiche rende la Casa alla Vela un’esperienza
particolarmente innovativa e interessante per la sua eventuale replicabilità,
con evidenti benefici:
- a creazione di una vera e propria “filiera innovativa di sostegno alla persona”, che evita il ricorso a coloro che in famiglia si prendono comunemente cura dell’anziano;
- la soluzione al problema della discontinuità assistenziale, che può dar luogo alla sindrome di burnout nei caregivers stessi;
- la promozione dell’autonomia dell’anziano (empowerment), così da arginare in modo sostanziale il fenomeno dell’isolamento e della fragilità in una fascia sempre più estesa di popolazione;
- la promozione dell’invecchiamento attivo e del benessere psico-fisico che, insieme alla partecipazione attiva alla comunità (engagement), arricchisce il “successful ageing”;
- il conferimento di senso alla condizione esistenziale della vecchiaia (sensemaking).
Non è un
caso che la United Nations Economic Commission for Europe abbia recentemente citato la Casa alla Vela tra le good
practice italiane e l’abbia inserita tra i suggerimenti di
policy in tema di strategie innovative per l’invecchiamento attivo.
Un'opportunità non solo per gli anziani
Ma oltre a
fornire soluzioni agli anziani, la Casa alla Vela offre opportunità di
cohousing anche a giovani studenti, per i quali viene messo a disposizione
un intero piano della palazzina, indipendente dalla zona riservata agli altri
ospiti.
Evidentemente
anche a loro si estendono molti dei vantaggi della coabitazione elencati sopra
per l’anziano: tra questi, l’avere a disposizione una confortevole mansarda
per organizzare eventi ludico-culturali e la possibilità di raccogliere i
prodotti freschi dell’orto sono percepiti con un valore aggiunto rispetto
all’abitare in uno studentato. Inoltre, esistono per loro anche altri vantaggi
che non derivano dal cohousing: l’opportunità di svolgere attività part-time
in supporto agli anziani, che si prestano ad essere remunerate dalla SAD con
voucher sociali. Quest’ultima sembra essere, peraltro, una caratteristica
molto apprezzata; ma quella che i giovani cohousers ritengono soprattutto
significativa è legata all’apprendimento sociale, alla comprensione
interpersonale e al sapere esperienziale che essi hanno modo di maturare in
questa nuova situazione, così diversa dal loro comune contesto di vita, di
natura tipicamente mono-generazionale.
Si può ben
comprendere, così, come la Casa alla Vela sia un’iniziativa che ha messo in
interazione enti, imprese, il volontariato sociale e privati cittadini sulla
spinta della cooperativa SAD. Il tentativo di comporre un sistema del
genere reclama l’intervento delle istituzioni, ai loro diversi livelli di
articolazione nel governo del territorio (comuni, comunità di valle, provincia);
tuttavia queste, seppure interessate all’esperienza promossa, non sembrano
ancora aver compreso che è richiesto loro un cambiamento radicale, nella
forma di un vero e proprio “salto di paradigma”: passare dalla logica
amministrativa dei miglioramenti normativi incrementali ad un approccio verso
le politiche sociali secondo un nuovo modello organizzativo e gestionale, come
quello del secondo welfare. È pure necessario un coordinamento degli attori
sulla scena, funzione che potrebbe essere appannaggio di un tavolo multilivello
dedicato, oltre che alla divulgazione e al confronto, anche a promuovere
l’integrazione delle numerose iniziative in corso, in modo da ridurre la
dispersione delle energie. SAD si prefigge di replicare l’esperienza della
Casa alla Vela, ma per farlo ha bisogno del supporto della finanza sociale e
della filantropia d’impresa, le quali vanno innestate lungo una filiera
virtuosa che è compito della pubblica amministrazione dispiegare nelle migliori
forme con l’apporto degli attori interessati, provenienti dalle
istituzioni, dal mercato e dalla società civile.
Senior cohousing, secondo welfare e innovazione sociale
Stato,
mercato, Terzo settore e famiglie sono le arene coinvolte nella produzione
sociale del welfare. Oggi sono
tutte attraversate dalla stessa crisi, il cui superamento richiede soluzioni
partecipate, frutto della composizione delle separazioni settoriali e della
collaborazione tra i vari attori.
In effetti,
le trasformazioni in atto nel Paese stanno facendo emergere una nuova
configurazione di welfare nella quale gli stakeholders che appartengono
alle quattro arene fanno rete e insieme producono programmi e iniziative
congiunte, contraddistinte dalla condivisione di risorse finanziarie e
progettuali. Il “Secondo welfare” scaturisce proprio da questa più stretta
collaborazione fra Stato, mercato, privato sociale e cittadini, che collaborano
per produrre in modo sinergico soluzioni e risposte per il benessere di
individui e famiglie, ossia dei destinatari degli interventi. Nel nuovo modello
il welfare pubblico conserva la sua funzione redistributiva di base, ma viene
integrato quando vi sono domande non soddisfatte di tutela e di servizi
alla persona o alle famiglie.
Poiché il
passaggio di funzioni da sempre peculiari del welfare pubblico alla nuova
formula del secondo welfare avviene attraverso un intervento sussidiario di
attori diversi dallo Stato — tra gli altri, in un ruolo rilevante, l’impresa
sociale — quest’ultimo viene alleggerito dalle molteplici pressioni sociali che
sempre più gli gravano addosso. La sussidiarietà che ha modo di svolgersi
trasferisce poteri e responsabilità dal centro alla periferia e, soprattutto,
dal soggetto pubblico ai corpi intermedi della società, che vedono valorizzate
le proprie iniziative grazie all’integrazione con le strategie pubbliche di
welfare.
Osservato
dalla particolare angolatura del secondo welfare, il senior cohousing si presta
ad esserne uno strumento congruente se viene adoperato rispettando due
condizioni essenziali:
1) dare rilievo alla dimensione sociale dell’iniziativa abitativa, così da rispettare la prassi del coinvolgimento diretto e attivo dei futuri residenti sia durante le fasi di progettazione e realizzazione, che nella gestione successiva;
2) fare ricorso ad una partnership pubblico-privato (PPP) per lo sviluppo del progetto, in modo che l’iniziativa privata non si sostituisca semplicemente a quella pubblica, ma si aggiunga a quest’ultima nel quadro di un programma che ne contempla l’integrazione economica e operativa.
1) dare rilievo alla dimensione sociale dell’iniziativa abitativa, così da rispettare la prassi del coinvolgimento diretto e attivo dei futuri residenti sia durante le fasi di progettazione e realizzazione, che nella gestione successiva;
2) fare ricorso ad una partnership pubblico-privato (PPP) per lo sviluppo del progetto, in modo che l’iniziativa privata non si sostituisca semplicemente a quella pubblica, ma si aggiunga a quest’ultima nel quadro di un programma che ne contempla l’integrazione economica e operativa.
Quando si
realizza nell’ambito della partecipazione pubblico-privato, il senior cohousing
corrisponde a una forma di forte innovazione sociale. Le iniziative che avvia e
i risultati che ottiene danno una risposta a bisogni emergenti delle persone e
delle comunità grazie a nuove modalità di collaborazione fra attori sociali e a
nuovi schemi d’azione.
La crisi
irreversibile in cui versa il modello di welfare tradizionale, collegata alla
riduzione delle risorse disponibili e all’emergenza di nuove forme di bisogni
relazionali, richiede un cambiamento nella lettura di tali bisogni e nella
predisposizione delle risposte, di consistenza e portata tali da non
accontentarsi di un semplice re-engineering organizzativo e normativo.
Sembra auspicabile un mutamento del sistema di equilibrio attuale verso un
nuovo assetto, in una sorta di “distruzione creatrice” che affermi nuove
concezioni e nuove pratiche di rilievo sociale, culturale ed economico, frutto
della combinazione originale di elementi già esistenti.
Nella fase
iniziale, un cambiamento del genere potrebbe essere appannaggio di minoranze
attive che svolgono la funzione di “early adopters”, vocate ad aprire per prime
la strada ad un orientamento collettivo della società intera, la quale
seguirebbe quei passi solo successivamente. In Italia, infatti, i progetti di
cohousing già realizzati in questa fase pioneristica, così come i diversi
tuttora in corso d’opera, hanno preso avvio grazie al coinvolgimento
progressivo di gruppi, di comunità di pratiche, di sistemi locali e di reti
trans-territoriali. Ma il cohousing come politica sociale innovativa e come
sistema di buone pratiche attende istituzioni virtuose e sensibili a vario
livello, meglio se vicine ai bisogni del territorio, che inizino a rispondere
alle aspirazioni di cittadini attivi e a creare opportunità per questa nuova
modalità di abitare.
Il Trentino come laboratorio di secondo welfare
Le
differenze tra il nostro Paese e gli stati nord europei nei quali il cohousing
ha trovato un’estesa attuazione sono evidenti. La presenza di modelli familiari tradizionali e di
forme di proprietà classiche dell'abitazione rende sicuramente la sfida più
complessa. Nonostante queste condizioni avverse, in Italia il cohousing ha
comunque fatto la sua comparsa. Sono state realizzate comunità in Emilia
Romagna, nella provincia di Torino, a Milano e in altre località del nord.
Molti progetti sono in via di definizione e si è ramificata la “Rete nazionale
per il cohousing e l’abitare solidale”, che raccoglie sia le associazioni per
lo sviluppo di progetti abitativi comunitari che gruppi di cohousers.
È
interessante, dunque, capire se il senior cohousing può trovare spazio in una
realtà come il Trentino. Anche in Trentino, regione a tradizione cattolica caratterizzata da forti
legami familiari, il prolungamento della terza età sperimentato insieme alla
crisi economica sta facendo emergere un fenomeno — rilevato dagli operatori
sociali — di ritorno delle donne al ruolo di accudimento a tempo pieno dei
genitori anziani, svolto spesso parallelamente a quello di caregiving
nei confronti della famiglia acquisita. Nella maggior parte dei casi, prendersi
cura a tempo pieno dell’anziano fragile non è una scelta ma una necessità di
fronte alla mancanza di alternative concrete, coordinate ed efficaci, delle
quali il senior cohousing potrebbe rappresentare un esempio risolutivo, in
Trentino ora come nei paesi scandinavi già oltre quarant’anni anni fa.
Peraltro, nella
Provincia autonoma di Trento esiste un’offerta strutturata di assistenza domiciliare,
caratteristica che potrebbe facilitare la diffusione di questo modello
abitativo a vantaggio dei pensionati residenti. A ciò si aggiunga che le
località trentine risultano ai primi posti nelle classifiche per la qualità
della vita e che il territorio presenta caratteri che lo qualificano come
destinazione turistica di rilievo; dunque, se guardato in una prospettiva di
medio-lungo periodo, il Trentino può diventare una destinazione attrattiva a
livello nazionale e internazionale anche per pensionati non residenti
all’insegna del benessere e della longevità attiva, a patto che venga
sviluppata una pianificazione territoriale lungimirante, che contempli
strategie di sviluppo e di marketing territoriale appositamente predisposte.
Questo nuovo
stile abitativo può ben fare da volano alla ripresa di molti settori
economici che ruotano attorno al benessere della persona e può generare
sviluppo in molteplici ambiti come quello sociale — con i suoi percorsi di
secondo welfare —, quelli sanitario, alberghiero, turistico e del leisure.
Ne beneficerebbero anche l’edilizia e l’artigianato, per la ristrutturazione e
la riconversione del patrimonio abitativo esistente e per la riqualificazione
energetica degli immobili.
Infatti, il
territorio trentino è ampiamente dotato di strutture immobiliari che potrebbero
essere riconvertite in modo mirato in cohousing. Proprio a causa della
crisi, anche i suoi centri abitati ospitano locali inutilizzati che, attraverso
l'impegno dell’ente pubblico, potrebbero interessare progetti di
riqualificazione edilizia e di rigenerazione urbana da coniugare con l’aiuto
sociale, da un lato, e con lo sviluppo economico sostenibile, dall’altro.
Proprio la trasformazione di realtà immobi-liari dismesse in comunità abitative
di tipo cohousing consentirebbe di attivare nuove opportunità di mercato.
Ciò
considerato, si può sostenere che in Trentino esistano le condizioni, reali e
potenziali, a livello socio-culturale, istituzionale, politico ed economico
affinché il territorio diventi sede di iniziative di senior cohousing
concepite come supporti allo sviluppo della longevità attiva. Pertanto, è
davvero fondamentale che il settore pubblico riveda secondo questa nuova
prospettiva la propria pianificazione sociale e abitativa, nonché le
politiche di investimento delle risorse pubbliche destinate al social housing.
ABITARE
…il condominio, il quartiere, la città…
Abitare secondo Heidegger “vuol dire coltivare e custodire il campo”. L’abitare non coincide semplicemente con il costruire una casa, con l’erigere un edificio. Il tratto fondamentale dell’abitare è l’aver cura. L’esistenza e la vita sono da custodire, oltre che coltivare, proprio perché altre, proprio perché si impongono come altre, come manifestazioni di un’alterità irriducibile. La vita si configura sempre come altra si presenta sempre come forma dell’alterità. L’alterità non è solo il marocchino della porta accanto. L’alterità abita anche il rapporto con i prossimi, con i conosciuti, con le persone di casa. In tal senso siamo chiamati a coltivare e custodire l’alterità, ovunque essa si manifesti. L’alterità riguarda sicuramente lo straniero, ma riguarda anche la propria moglie, il proprio figlio, la propria figlia e ultimamente se stessi. (Silvano Petrosino – Pensare il presente – Nuova Editrice Berti).
L’altro, raccontato dal filosofo
Petrosino, costituisce una componente essenziale della scena umana. Non è
possibile farne a meno e non solo perché siamo “costretti” ad incontrarlo, ma
perché costituisce un tratto essenziale dell’esistere dell’uomo. La qualità
della vita risiede nella qualità della coltivazione e della custodia delle
relazioni umane. Non si può sfuggire agli altri senza scappare da se stessi.
Si potrebbe osservare che siamo
nel campo della filosofia pura, se non fosse che tale scienza cerca di
rivelarci quello che realmente siamo e cosa potremmo fare per elevare il senso
del ben-vivere.
A noi, la fantasia, la
creatività, la capacità di attuarlo nella quotidianità della scena umana, della
nostra città, dei nostri quartieri e perché no dei nostri condomini.
Cosa possiamo fare insieme per rendere la convivenza condominiale uno
spazio conviviale e felice? Cosa ne pensate?
Vogliamo aprire uno spazio, un
laboratorio. Ci piacerebbe immaginare lo spazio di discussione, come un luogo
positivo e propositivo. Sono tanti i motivi per lamentarci dei nostri guai
quotidiani, dei problemi relazionali, della qualità della vita. Abbiamo,
tuttavia, bisogno di immaginare che possa esistere qualcosa di diverso, di
nuovo. Qualcosa in grado di generare speranza. Qualcosa che dipende
esclusivamente da noi, per cui nessun altro possa aiutarci se non noi stessi. Qualcosa
per cui valga la pena lavorare insieme per “coltivare e custodire” la qualità
della vita.
Parliamone!
CHI?
Cohouses “Associazione di promozione sociale” promuove la solidarietà l'armonia la condivisione di idee spazi e opportunità tra persone che abitano nello stesso condominio.
CON CHI?
La proposta riguardano tutte le persone che abitano un condominio, disponibili a mettersi in gioco e condividere idee passioni e iniziative autogestite per una migliore qualità della vita.
COSA?
Abbiamo immaginato che si potesse fare qualcosa per migliorare i rapporti tra persone dello stesso condominio promuovendo la partecipazione e la condivisione attraverso lo stimolo ad aggregarsi in gruppi condominiali: persone vicine che si vedono, s'incontrano si conoscono e insieme sviluppano progetti di coesione.
COME?
Siamo partiti dal promuovere l'aggregazione di gruppi sulla piattaforma Facebook per facilitare la conoscenza l'incontro e la collaborazione tra persone vicine per poi proseguire con la facilitazione di incontrii, progetti e iniziative reali.
QUALI INIZIATIVE?
Tra le iniziative possibili ci sono lo sport, l'attività motoria, le bocce. C’è lo yoga. Ci sono i libri, la cultura, la musica. Ci sono gli acquisti solidali. Attività e spazi per mamme e bambini. L’auto mutuo aiuto tra persone. E perchè no!? c'è anche il controllo di vicinato, magari in collaborazione con l'iniziativa in corso dei comitati di quartiere.
PERCHE’?
Siamo convinti che dopo la famiglia il secondo luogo di prossimità tra le
persone sia il condominio. Spesso la convivenza nei
condomini risulta difficile e per qualcuno addirittura impossibile.
CHI?
Cohouses “Associazione di promozione sociale” promuove la solidarietà l'armonia la condivisione di idee spazi e opportunità tra persone che abitano nello stesso condominio.
CON CHI?
La proposta riguardano tutte le persone che abitano un condominio, disponibili a mettersi in gioco e condividere idee passioni e iniziative autogestite per una migliore qualità della vita.
COSA?
Abbiamo immaginato che si potesse fare qualcosa per migliorare i rapporti tra persone dello stesso condominio promuovendo la partecipazione e la condivisione attraverso lo stimolo ad aggregarsi in gruppi condominiali: persone vicine che si vedono, s'incontrano si conoscono e insieme sviluppano progetti di coesione.
COME?
Siamo partiti dal promuovere l'aggregazione di gruppi sulla piattaforma Facebook per facilitare la conoscenza l'incontro e la collaborazione tra persone vicine per poi proseguire con la facilitazione di incontrii, progetti e iniziative reali.
QUALI INIZIATIVE?
Tra le iniziative possibili ci sono lo sport, l'attività motoria, le bocce. C’è lo yoga. Ci sono i libri, la cultura, la musica. Ci sono gli acquisti solidali. Attività e spazi per mamme e bambini. L’auto mutuo aiuto tra persone. E perchè no!? c'è anche il controllo di vicinato, magari in collaborazione con l'iniziativa in corso dei comitati di quartiere.
Noi di Cohouses siamo
presenti e disponibili a fornire collaborazione, competenze e aiuto purchè le
iniziative partano dal basso.
I gruppi condominiali non sono intesi per sostituirsi a nessuno ma solo aiutare a creare opportunità autogestite strutturate e continuative di prossimità. Intendono proporsi come strumenti di solidarietà, equità e sostenibilità per migliorare la qualità della vita. Un nuovo welfare di comunità.
I gruppi condominiali non sono intesi per sostituirsi a nessuno ma solo aiutare a creare opportunità autogestite strutturate e continuative di prossimità. Intendono proporsi come strumenti di solidarietà, equità e sostenibilità per migliorare la qualità della vita. Un nuovo welfare di comunità.
COME PROCEDERE:
1. Iscriversi al “gruppo Facebook di condominio solidale equo sostenibile” dove si abita.
2. Conoscersi meglio, attraverso il gruppo di condominio Facebook, condividendo idee passioni e attività che possono migliorare la vita di relazione tra vicini.
3. Incontrarsi tra persone dello stesso condominio per trasformare le idee in progetti con l’aiuto di facilitatori messi a disposizione da Cohouses "Associazione di promozione sociale".
4. Realizzare attività autogestite con l’aiuto di Cohouses "Associazione di promozione sociale".
5. Condividere la costituzione di un piccolo gruppo condominiale di coordinamento delle attività.
1. Iscriversi al “gruppo Facebook di condominio solidale equo sostenibile” dove si abita.
2. Conoscersi meglio, attraverso il gruppo di condominio Facebook, condividendo idee passioni e attività che possono migliorare la vita di relazione tra vicini.
3. Incontrarsi tra persone dello stesso condominio per trasformare le idee in progetti con l’aiuto di facilitatori messi a disposizione da Cohouses "Associazione di promozione sociale".
4. Realizzare attività autogestite con l’aiuto di Cohouses "Associazione di promozione sociale".
5. Condividere la costituzione di un piccolo gruppo condominiale di coordinamento delle attività.
REGOLE:
1. Tutti i residenti nel condominio sono i benvenuti.
2. Ogni persona è portatore di idee, intelligenza e costituisce una risorsa unica per la comunità condominiale.
3. Ogni persona è attore e responsabile del successo delle iniziative. “Ogni opportunità dipende da me e non dagli altri”.
4. Si lavora per migliorare la serenità e l’armonia tra le persone attraverso la collaborazione e la condivisione di idee, iniziative e progetti.
5. Ogni progetto condiviso è il mio progetto.
6. Ogni progetto ha solo le mie gambe e quelle della comunità condominiale.
7. Ogni iniziativa, ogni progetto deve, creare consenso, condivisione, armonia, serenità e benessere tra le persone.
8. Ogni progetto deve essere utile e orientato all’uso responsabile delle risorse della terra, improntato al risparmio e all’inclusione sociale.
9. Ogni comunità condominiale può migliorare le regole senza snaturarne lo spirito.
1. Tutti i residenti nel condominio sono i benvenuti.
2. Ogni persona è portatore di idee, intelligenza e costituisce una risorsa unica per la comunità condominiale.
3. Ogni persona è attore e responsabile del successo delle iniziative. “Ogni opportunità dipende da me e non dagli altri”.
4. Si lavora per migliorare la serenità e l’armonia tra le persone attraverso la collaborazione e la condivisione di idee, iniziative e progetti.
5. Ogni progetto condiviso è il mio progetto.
6. Ogni progetto ha solo le mie gambe e quelle della comunità condominiale.
7. Ogni iniziativa, ogni progetto deve, creare consenso, condivisione, armonia, serenità e benessere tra le persone.
8. Ogni progetto deve essere utile e orientato all’uso responsabile delle risorse della terra, improntato al risparmio e all’inclusione sociale.
9. Ogni comunità condominiale può migliorare le regole senza snaturarne lo spirito.
Il sogno di ogni persona,
ogni abitante il condominio è di “rendere il mondo un posto migliore in cui
vivere”.
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