Sono nata nella “corte dei Farina”
nel 1958. Un agglomerato di umanità densa di saggezza. La mia prima scuola di vita. Il trasferimento
in una casa più grande e lussuosa ha in fondo tracciato la mia trasformazione
in una bambina dal carattere timido, ombroso e malinconico. La vita in cortile era per definizione
comunitaria, un mondo fragile e complesso, claustrofobico o appagante: dipende
dallo sguardo. Si può pensare ad esso
come a un retaggio del passato, a volte amato, a volte subito, ma dopo aver
sperimentato i limiti del nostro vivere quotidiano così asettico e solitario,
si può cambiare prospettiva , leggendo nel mondo di ieri i segni del domani.
Nel cortile, fuori dalle case, si diventava
grandi, si imparava a “comportarsi” e a rispettare i tabù imposti dal mondo degli adulti, si esploravano
luoghi e si sperimentavano i sentimenti sapendo
di essere accolti e tutelati. Non si era mai soli, nessuna porta era chiusa.
Potevi confrontarti e giocare con una moltitudine di bambini di ogni età, guardare la calata della notte nelle tiepide
serate estive con i vecchi e incantarti ai loro racconti e alle loro leggende:
una misura di umanità e di calore che mi porto dentro. Ricordo ancora con un misto di paura e di
fiero orgoglio la piccola scala buia e traballante che portava all’ultimo
ballatoio. Vietato a noi bambini e per questo agognato “rito di
passaggio”.
Ricordo il mio
sornione girovagare di casa in casa e la
mia voglia (innata?) di libertà. Ricordo
la rossa “sfrusadura” (contrabbandiera?)
che passava di casa in casa con la sua
pesante sporta nera colma di cioccolata, dadi e caffè svizzeri. Ricordo il biroccino dei gelati e la felicità
di noi bambini. Ricordo le grida
dell’ombrellaio e dell’arrotino e il cavallo del venditore di acciughe e stoccafisso. Ricordo i lunghi pomeriggi assolati a giocare
a mondo, a palla o ai 4 cantoni. E a
maestra col “signor direttore”. Ricordo le battaglie con le spade di
legno (io, unica bambina!) con l’amico
del cuore come compagno.
Ricordo la complicità con mia nonna - nata in quegli anni - da cui ho appreso dello zio Guido scappato in America e del disertore tenuto nascosto dopo l’8 settembre.
Ricordo la complicità con mia nonna - nata in quegli anni - da cui ho appreso dello zio Guido scappato in America e del disertore tenuto nascosto dopo l’8 settembre.
Ma più di ogni altra cosa ricordo
lo scorrere della vita scandito dal tempo. Invidio il padroneggiare che le
persone avevano del tempo.
Il loro lento osservare l’animo umano e i segreti della natura. Sapevano trarre fuori da essa insegnamenti ed
equilibrio che si riflettevano nella vita di tutti i giorni. Sapevano mettere
mano a tutto: accomodare una sedia,
alzare un muretto, occuparsi dell’orto e degli animali domestici. Un patrimonio che dovremmo recuperare.
A.F.
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