Milano, 16
marzo 2015
Pensi di andare a un festival sul
futuro e scopri di essere stato a un dibattito politico. La riflessione è
personale e la condivido con voi per una necessità di presa di coscienza: cosa
vuol dire fare innovazione? Qual è la reale connessione tra i digital
startupper, i coworker, i social innovator, i designer e i lateral thinker?
Quella enorme voglia di cambiamento che c’è nell’aria come può scendere a terra
in azioni concrete che abbiano tanto valore sociale quanto valore economico? E
ancora: come mettiamo in mezzo a tutto ciò la realizzazione di noi stessi, che
poi significa anche felicità?
Sono domande alle quali non ho risposte da dare. Sono le domande che mi porto a casa
dai due giorni passati al Future Fest, la manifestazione organizzata da Nesta a Londra e che ha ospitato
dibattiti, speech e incontri sul futuro nelle sue diverse accezioni. Qui Geoff Mulgan ha messo
assieme innovazione sociale e politica, riflessioni su neo socialismo e post
capitalismo con un solo scopo: “Siamo qui per disegnare il futuro in cui
vogliamo vivere”. Sembra una frase banale, ma è tutto: ci pensate mai al fatto
che noi che ci incontriamo a tanti dibattiti e festival, che ci confrontiamo su
piattaforme come questa, che proviamo a fare cose sensate nel pubblico e nel
privato, di fatto siamo mossi da qualcosa che non è solo “alto” ma anche
tremendamente pratico? Facciamo mille diverse cose per vivere meglio.
Il punto è che per riuscirci dobbiamo necessariamente
essere in tanti. E se siamo
in tanti, dobbiamo per forza fidarci uno dell’altro, altrimenti ognuno si
muoverà in direzione casuale e gli sforzi non daranno nessun risultato
evidente.
“Ecco la domanda che ha segnato
il Future Fest: come costruiamo fiducia in una società iperconnessa?”
Owen Jones: “Dobbiamo
canalizzare la rabbia per creare movimenti capaci di cambiare la società dal
basso, non abbiamo bisogno di elite non controllabili o think tank, ma
di una società capace di rigenerare se stessa partendo dalla speranza di un
futuro possibile”.
Michel_Bauwens: “Economia etica, società civile e lo Stato come partner: questo è il post
capitalismo che possiamo costruire, una economia peer to peer in cui ognuno
possa esprimere se stesso unendo le proprie passioni con le proprie capacità e
i bisogni sociali. Se questi tre elementi coincidono, una nuova società nasce”.
Helena Kennedy QC: “Servono soluzioni collettive per
realizzare quel futuro della democrazia di cui abbiamo davvero bisogno”.
Edward Snowden: “Per ricostruire fiducia dobbiamo ridefinire i nostri
diritti”.
“Fidarsi degli altri.
Fidarsi di chi ci
governa.
Fidarsi di chi vuole
investire nella nostra idea.”
Fidarsi, soprattutto, del fatto che il futuro che
abbiamo davanti possa rappresentare al meglio i nostri sogni, le nostre
speranza, il nostro desiderio di vivere in un mondo migliore rispetto a quello
in cui ci troviamo. Il problema più grande che dobbiamo affrontare è proprio
quello della fiducia, perché il futuro sarà davvero migliore se agiremo insieme
per far sì che sia tale, ma per farlo dobbiamo imparare a fidarci gli uni degli
altri.
Credits: utahvalleyrealestate.com
Allora torno al concetto con cui Mulgan ha costruito e
aperto il festival, sottolineando la dimensione politica dell’innovazione e di
chi la fa e rispondendo, almeno in parte, a quella domanda iniziale su ciò che
unisce persone/categorie tra loro apparentemente distanti: siamo uniti dalla
voglia e dalla capacità di cambiare, in meglio, il mondo. Ognuno nel suo più o
meno piccolo/grande.
“Lo facciamo perché
abbiamo
deciso di disegnare il futuro in cui vogliamo vivere.”
deciso di disegnare il futuro in cui vogliamo vivere.”
E aggiungo: lo facciamo senza pensare che il
cambiamento sia frutto di eventi straordinari, ma sapendo che è dalla
connessione di potenzialmente infinite piccole azioni che ognuno di noi può
compiere quotidianamente che si costruisce quello che ognuno di noi sogna.
Ecco perché concludo una riflessione che rimane
necessariamente aperta, e bisognosa di contributi crescenti, con una domanda, che presuppone si debba – non solo
noi, che forse siamo quel think tank che secondo Jones non basta né
serve per cambiare davvero – superare la fase di protesta non passando a quella
della richiesta né virando verso quella della proposta, ma andando dritti a
quella dell’azione. Singola, anche, ma in un’ottica collettiva. Dicevo, la
domanda: la faccio a ogni singolo lettore, e a me stesso, invitandovi a farla a
più persone possibili: tu cosa fai di concreto, esattamente adesso, per
costruire il futuro in cui vuoi vivere?
Nessun commento:
Posta un commento