Oggi giovani precari, domani anziani poveri: il 65%
andrà in pensione con meno di mille euro
La
«generazione mille euro» avrà ancora meno a fine carriera. Con pensioni molto
basse, in caso di non autosufficienza chi pagherà le badanti per tutti? Il
futuro grigio dei giovani in un Paese che invecchia
Padova, 13
febbraio 2015 - La «generazione mille euro» avrà ancora meno a fine
carriera. Oggi il 40% dei lavoratori dipendenti di 25-34 anni ha una
retribuzione netta media mensile fino a mille euro. E in molti si troveranno ad
avere dalla pensione un reddito più basso di quello che avevano a inizio
carriera. L'invecchiamento della popolazione e le riforme pensionistiche
rendono più complesso il quadro delle variabili che incidono sulla longevità,
per cui il Censis e la Fondazione Generali hanno avviato un percorso di ricerca
sul welfare di domani. Il Censis stima che il 65% dei giovani occupati
dipendenti 25-34enni di oggi avrà una pensione sotto i mille euro, pur con
avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li
hanno preceduti, considerando l'abbassamento dei tassi di sostituzione. E la
previsione riguarda i più «fortunati», cioè i 3,4 milioni di giovani oggi ben
inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard. Poi ci sono 890.000
giovani 25-34enni autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3
milioni di Neet, che non studiano né lavorano. Se continua così, i giovani
precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani. È quanto emerge
dalla ricerca realizzata dal Censis in collaborazione con Fondazione Generali.
Il regime
contributivo puro cozza con la reale condizione dei millennials. Il 53% dei millennials (i giovani
di 18-34 anni) pensa che la loro pensione arriverà al massimo al 50% del
reddito da lavoro. La loro pensione dipenderà dalla capacità che avranno di
versare contributi presto e con continuità. Ma il 61% dei millennials ha avuto
finora una contribuzione pensionistica intermittente, perché sono rimasti
spesso senza lavoro o perché hanno lavorato in nero. Per avere pensioni
migliori, l'unica soluzione è lavorare fino ad età avanzata, allo sfinimento.
Ma il mercato del lavoro lo consentirà? Intanto l'occupazione dei giovani è
crollata. Siamo passati dal 69,8% di giovani di 25-34 anni occupati nel 2004,
pari a 6 milioni, al 59,1% nel 2014 (primi tre trimestri), pari a 4,2 milioni.
In dieci anni, ci sono stati 1,8 milioni di occupati in meno tra i giovani, con
un crollo di 10,7 punti percentuali. Una perdita di occupazione giovanile che,
tradotta in costo sociale, è stata pari a 120 miliardi di euro, cioè un valore
pari al Pil di tre Paesi europei come Lussemburgo, Croazia e Lituania mesi
insieme.
A far paura
non è l'invecchiamento, ma il rischio di perdere l'autonomia. Solo il 35% degli italiani ha paura
di invecchiare: il 15% combatte gli effetti dell'invecchiamento e il 20% si
rassegna. Il 65% invece non teme l'invecchiamento: perché lo considera un fatto
naturale (53%) o perché pensa che invecchiando si migliora (12%). A far paura è
la perdita di autonomia. Pensando alla propria vecchiaia, il 43% degli italiani
giovani e adulti teme l'insorgere di malattie, il 41% la non autosufficienza. E
il 54% degli anziani fa coincedere la soglia di accesso alla vecchiaia proprio
con la perdita dell'autosufficienza, il 29% con la morte del coniuge e il 24%
con il pensionamento. La fragilità legata all'invecchiamento terrorizza i
giovani. Pensando a quando saranno anziani e bisognosi di cure, il 32% di
giovani e adulti si preoccupa perché non sa bene che cosa accadrà, il 22% è
incerto e disorientato, e solo il 16% si sente tranquillo, perché si sta
preparando a quel momento con risparmi e polizze assicurative, o semplicemente
conta sul supporto della propria famiglia.
Badanti ok
oggi, ma domani? In casa
propria, accuditi dai familiari o da una badante: è questo oggi il modello di
assistenza agli anziani non autosufficienti. Le badanti sono più di 700.000 (di
cui 361.500 regolarmente registrate presso l'Inps con almeno un contributo
versato nell'anno) e costano 9 miliardi di euro all'anno alle famiglie. Finora
il modello ha funzionato, per il futuro però potrebbe non essere più un
servizio low cost. Sono 120.000 le persone non autosufficienti che hanno dovuto
rinunciare alla badante per ragioni economiche. Il 78% degli italiani pensa che
sta crescendo la pressione delle badanti per avere stipendi più alti e maggiori
tutele, con un conseguente rialzo dei costi a carico delle famiglie. Per tanti
l'impegno economico diventa insostenibile: 333.000 famiglie hanno utilizzato
tutti i risparmi per pagare l'assistenza a un anziano non autosufficiente,
190.000 famiglie hanno dovuto vendere l'abitazione (spesso la nuda proprietà)
per trovare le risorse necessarie, 152.000 famiglie si sono indebitate per pagare
l'assistenza. E sono oltre 909.000 le reti familiari che si «autotassano» per
pagare l'assistenza del familiare non autosufficiente. E anche quando si
ricorre alla badante, l'85% degli italiani sottolinea che è comunque necessario
un massiccio impegno dei familiari per coprire giorni di riposo, festivi,
ferie, ecc.
Quando la
casa diventa una trappola per gli anziani. Sono 2,5 milioni gli anziani che vivono in abitazioni
non adeguate alle loro condizioni di ridotta mobilità e che avrebbero bisogno
di interventi per essere trasformate. E sono 1,1 milioni quelli che vivono in
case inadeguate ma non adattabili alle esigenze di una persona anziana con
problemi di mobilità. In questi casi rimanere in casa può diventare un
boomerang.
Le residenze
per anziani? Purché non siano parcheggi per vecchi. Oggi le residenze per anziani (case
di riposo e simili) non piacciono agli italiani. Sono ospiti di strutture
residenziali 200.000 anziani non autosufficienti, mentre 2,5 milioni vivono in
famiglia, in casa propria o di parenti. Le residenze per anziani oggi non hanno
appeal perché sono solo parcheggi per vecchi che provocano malinconia. Ma 4,7
milioni di anziani sarebbero favorevoli ad andare in residenze se la loro
qualità migliorasse. Il 55% di loro pensa che una buona residenza per anziani
deve garantire l'accesso rapido alle cure sanitarie e infermieristiche in caso
di bisogno, per il 36% deve mostrare una sensibilità speciale per il lato umano
degli ospiti, per il 27% deve favorire l'apertura verso l'esterno con attività
alle quali possono accedere anche persone da fuori, per il 23% deve disporre di
spazi comuni in cui realizzare attività ricreative che incoraggino le relazioni
tra gli ospiti. In Italia esistono esempi virtuosi di residenzialità per
longevi, tra cui il Civitas Vitae della Fondazione Opera Immacolata Concezione
di Padova, prima infrastruttura di coesione sociale in Italia fatta di
strutture e servizi intergenerazionali, piena apertura al territorio con
accesso ai suoi servizi per tutti i cittadini, impegno di longevi attivi,
intenso uso di nuove tecnologie Ict.
Questi sono i principali
risultati della ricerca «L'eccellenza sostenibile nel nuovo welfare. Modelli di
risposta top standard ai bisogni delle persone non autosufficienti», realizzata
dal Censis in collaborazione con Fondazione Generali, che è stata presentata
oggi a Padova da Francesco Maietta, Responsabile del settore Politiche sociali
del Censis, e discussa da mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste,
Angelo Ferro, Presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione, Marco
Imperiale, Direttore Generale della Fondazione con il Sud, Mario Strola,
Segretario Generale della Fondazione Ferrero, Luca De Dominicis, Head Savings
and Pensions Global Life di Assicurazioni Generali, e Giuseppe De Rita,
Presidente del Censis.
COMUNICATI STAMPA
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